mercoledì, agosto 04, 2004

 
EDITORIALE NEL CASSETTO
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L’atteggiamento assunto da MB nei confronti della riforma del sistema della ricerca contiene diversi aspetti che suscitano perplessità.

In primo luogo: si rivendica una superiore razionalità politica come ultima istanza alla luce della quale giudicare la proposta di riforma. Come se l’argomentare tecnico fosse un livello ed altro invece fosse il piano della politica, dove il problema consisterebbe piuttosto nel farsi carico di interessi coincidenti con le aspettative e le istanze di un settore dell’elettorato che guarda prioritariamente ai DS come proprio partito di riferimento.

Con ciò la politica viene fatta coincidere con la cura degli interessi di una porzione della comunità, secondo un’accezione che è vecchia in ben due sensi.

Vecchia perché la segmentazione della società in corporazioni è di fatto superata da una pluriappartenenza che rende ciascun cittadino al tempo stesso membro di più settori di una stessa realtà e dunque interprete di interessi molteplici, a volte in conflitto gli uni con gli altri. Compito della politica dovrebbe quindi essere, piuttosto, quello di aiutare la soluzione di questi conflitti alla luce di una concezione dell’interesse comune più ampia ed alta.

Vecchia inoltre perché il ruolo di una politica riformatrice oggi non può limitarsi ad assecondare le richieste dei gruppi sociali di riferimento, secondo una prospettiva tipicamente sindacale, bensì è chiamata ad intercettare e comporre una domanda sociale molto più variegata, sintetizzandola secondo le esigenze di una cultura di governo, anziché di opposizione come invece purtroppo è ancora troppo consueto nella prospettiva della sinistra sindacale.

In questa direzione il ruolo di una politica progressista, come dimostrano i non frequenti casi in cui questa ha successo ai nostri giorni, deve consistere nell’esercizio di una leadership anticipatrice nei confronti dei gruppi sociali di riferimento e non certo nell’adesione acritica alle istanze corporative e conservatrici che questi esprimono, spesso condizionati da un clima di incertezza e di timore nei confronti del futuro.

Nel caso specifico, la riforma della ricerca è un tema che riguarda l’intera società trentina, non solo gli addetti ai lavori. L’appiattimento politico sulla difesa del punto di vista dei diretti interessati è invece il frutto di un calcolo miope perché trascura del tutto di misurare l’investimento del Trentino sul sistema provinciale della ricerca – finanziario e politico al tempo stesso – non solo sul livello di soddisfazione dei ricercatori stessi, bensì sull’apporto allo sviluppo dell’intera comunità.

In questo modo peraltro si rischia nei fatti di trattare i ricercatori come un settore immaturo della società trentina, incapace di rendersi conto di quanto rapidamente stia mutando quella situazione che negli ultimi anni ha permesso un aumento costante delle risorse a disposizione della ricerca. E come pertanto si debba mettere mano urgentemente al funzionamento di questo sistema, secondo nuovi schemi organizzativi ed operativi, per garantirne il futuro.

Purtroppo si verifica anche nel dibattito sulla riforma della ricerca quel che appare vero in molti altri casi: l’incapacità di pensare politicamente con la testa rivolta in avanti, anziché indietro. Da cui consegue un atteggiamento politico che si condanna a rappresentare solo porzioni minoritarie della società anziché una maggioranza della stessa.

Se c’è un modo sicuro per interpretare alla lettera il principio di autolesionismo della sinistra nazionale, è proprio questo. Con l’aggravante di trasferirlo in un contesto, come quello trentino, dove invece ci si dovrebbe adoperare per mantenere - e possibilmente rafforzare - l’anomalia politica che vede il centro sinistra stabilmente al governo da molti anni.

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