mercoledì, luglio 07, 2004

 
26.06.04

HK
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Anche se ormai dovrei essere abituato, l'alba arriva all'improvviso, come un urlo di luce bianca. Il caldo arriva subito, feroce. Scotta addosso l'aria salmastra.

Il traghetto che attraversa la baia muove appena l'aria. Attraversiamo l'isola fino ad Aberdeen, il porto delle imbarcazioni da pesca. Insenatura stretta e lunga, sull'altro lato dell'isola. Ai due lati colline verdi, in basso una fascia di condomini di trenta o quaranta piani contorna le rive del braccio di mare che penetra all'interno dell'isola.

Tra le due sponde una citta' galleggiante. Prima i pescherecci, tutti verdi con gli argani rossi. Poi il floating restaurant, con i tetti a pagoda e le finestre dorate. L'area degli yacht tirati a lucido e, li' dietro appena girata la prua, una flotta di sampan marcescenti che sorregge di tutto: materassi e catini, fornelli a gas, casse piene di masserizie, cani e bambini.

Piccoli sampan fanno la spola intermittente tra le rive e i quartieri della citta' galleggiante. Il traffico si infittisce dalle parti del mercato del pesce, dove centinaia di vasche contengono a fatica ogni genere di creatura marina, salvo le sirene.

Hong Kong non puo' crescere piu' di cosi'. Stretta fisicamente tra mare e colline, confinata su un piccolo arcipelago, si ammira, compiaciuta e sottilmente preoccupata, nelle superfici vetrate dei suoi edifici di design. Sospetta che il suo tempo sia finito, divorato dalla concorrenza della nuova Cina.

L'aria e' internazionale, con quella naturalezza un poco snob da ex colonia inglese. Quella, per intenderci, che ha fatto spazio nel centro della citta' ad un ippodromo dal tappeto erboso e verde come i campi di Wimbledon. O che ha popolato le pendici della collina di Victoria Peak con condomini eleganti, poggiati su spuntoni di roccia aggettanti sulla baia.

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