giovedì, luglio 01, 2004

 
19.06.04

BEI JING
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Cielo di latte condensato.
Tutti i colori sono morti.
Nell'aria galleggia polvere.

Beijing si presenta cosi', sfocata e lattiginosa. Schiacciata da una cappa umida e opprimente.

Viali senza biciclette, tra ali di anonimi palazzi moderni. Anelli concentrici di strade che si chiudono su se stesse. Un cerchio dentro l'altro, puntati su un centro vuoto.

Tien An Men. La chiamano piazza, ma e' un vuoto deforme. Concepito per dare simmetria alle facciate del potere.
Ma perche' mai affacciarsi sul vuoto e' una metafora del potere?

Del resto non e' una trovata moderna. Basta traversare le porte della citta' proibita. Fino alla sala del trono, al luogo della suprema armonia: attraverso una teoria di cortili sterminati e vuoti. Procedendo per rarefazioni successive.

Nelle stanze dove il potere si manifesta, per contrasto con la serie dei vuoti, sprazzi di giallo, colore imperiale e colore della morte. Tra muri rossi all'esterno e pareti rosse di lacca all' interno.

In questo palazzo imperiale il disegno e' destrutturato: ciascuna stanze e' un edificio, una pagoda. Il palazzo, la citta', sono un equilibrio tra pieni e vuoti. Anzi, sono recinti e diaframmi successivi, che disegnano un percorso ascendente. Che si slancia verso l'alto con i tetti arricciati.

Fino al punto piu' alto della citta', da dove si domina un mare ondoso di pagode. (Anche se oggi, piu' che altro, il colpo d'occhio è sopra una selva di gru che segnalano i seimila cantieri di Pechino.

Tanta, troppa gente. Il senso di questa citta' proibita, che dovrebbe essere fatta di vuoti, e' stravolto.

Pan Jia Yuan: il giardino della casa di Pan. Mercato delle pulci e dell'artigianato. C'è un motivo per cui sono arrivato sin qui ed ha gli occhi profondi di una bambina curiosa:

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